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N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 2011
Ordinanza del 17 ottobre 2011 emessa dal Tribunale di Velletri nel
procedimento civile promosso da Mannucci Luigi contro Banca Popolare
del Lazio Soc. coop. a r.l..
Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate in conto
corrente - Diritti nascenti dall'annotazione in conto -
Prescrizione - Decorrenza dal giorno dell'annotazione - Previsione
in via di interpretazione autentica dell'art. 2935 del codice
civile - Contestuale esclusione della restituzione di importi gia'
versati alla data di entrata in vigore della legge n. 10 del 2011 -
Violazione dei principi di certezza del diritto e di ragionevolezza
- Violazione dei limiti all'adozione di leggi interpretative o
retroattive - Ingiustificato trattamento di favore per le banche -
Ingiustificata restrizione della ripetibilita' dell'indebito, con
disparita' di trattamento fra i titolari dei relativi crediti -
Violazione del principio di uguaglianza - Violazione della garanzia
di tutela giurisdizionale dei diritti ed invasione ingiustificata
delle prerogative della Magistratura ordinaria - Violazione della
tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese - Incidenza sul
potenziale diritto delle banche alla restituzione delle somme date
a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto
corrente - Contrasto con il divieto di ingerenza del legislatore
nell'amministrazione della giustizia (salvo che per motivi
imperativi di interesse generale), sancito a garanzia dell'equo
processo dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo (CEDU), come interpretata dalla Corte di Strasburgo -
Conseguente inosservanza di vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali.
- Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61, aggiunto
dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.
- Costituzione, artt. 3, 24, 41, 47, 102 e 117, primo comma, in
relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata e resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
(GU n.20 del 16-5-2012 )
IL TRIBUNALE
Ordinanza rimessione alla Corte costituzionale, ai sensi degli
articoli 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
PROC: 1574/2008 R.G., tra Mannucci Luigi, rappresentato e difeso
da se' medesimo e dall'avv. Alessandra Gallini, parte attrice, e
Banca Popolare del Lazio Soc. coop. a r.l., rappresentato e difeso
dall'avv. Antonio Giovannoni, parte convenuta.
Il Giudice unico dott. Maurizio Colangelo ha emesso la seguente
ordinanza nella causa iscritta al n. 1574/2008 R.G., avente ad
oggetto: azione di ripetizione di somme indebitamente percepite in
rapporto di conto corrente bancario, declaratoria della
capitalizzazione degli interessi trimestrali, restituzione somme in
relazione alla clausola massimo scoperto ed altro.
Svolgimento del processo.
Con atto di citazione, l'attore conveniva in giudizio l'odierno
convenuto, per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni:«voglia
il Giudice adito, in via principale, previo accertamento e
declaratoria della nullita' delle clausole contrattuali impugnate,
condannare la banca convenuta alla rifusione delle seguenti somme:
a) euro 17.909,73, a titolo di capitalizzazione trimestrale;
b) euro 1.671,69, a titolo di massimo scoperto, e cosi'
complessivamente euro 19.581,42, o quella maggiore o minore di
giustizia, oltre interessi legali a partire dalle singole scadenze e
rivalutazione monetaria.
Deduceva parte attrice l'illegittimita' delle capitalizzazioni
trimestrali su interessi passivi, poiche' in violazione sia con
l'art. 1283 del codice civile sia per la nullita', ravvisata anche
per il periodo anteriore, rispetto al mutamento di giurisprudenza,
perche' in contrasto con una norma imperativa, tenendosi conto che
l'art. 25, comma 3, decreto legislativo n. 342/1999 (che conservava
in via transitoria la validita' ed efficacia dei patti anteriori alla
riforma) e' stato dichiarato illegittimo dalla Consulta con sentenza
n. 425 del 17 ottobre 2000; la declaratoria della nullita' travolge
l'intera pattuizione, comportando la integrale restituzione delle
somme indebitamente percepite.
Parte attrice deduceva, inoltre, l'illegittimita' dello «ius
variandi» poiche' la relativa pattuizione violava il disposto
dell'art. 1284 del codice civile che prevedeva la necessita' della
forma scritta per la determinazione del tasso di interesse
ultralegale e per la violazione dell'art. 1346 del codice civile per
la indeterminabilita' dell'oggetto del contratto.
Deduceva parte attrice l'illegittimita' della clausola relativa
alle commissioni massimo scoperto operate sul conto corrente n. 1403
acceso in data 23 giugno 1988 e successivamente estinto in data 10
giugno 2002. Deduceva, inoltre, l'illegittimita' del computo dei
diversi giorni valuta, perche' pratica che consente alla banca di
lucrare maggiori competenze nei conti creditori.
Parte convenuta depositava comparsa di costituzione e risposta e
relativo fascicolo, ove sollevava una serie di eccezioni.
Instaurato regolarmente il contraddittorio, la banca eccepiva in
via preliminare:
a) la nullita' dell'atto di citazione per genericita' ed
indeterminatezza dei fatti costitutivi posti a base della domanda e
nel merito tempestivamente eccepiva;
b) la prescrizione decennale dell'azione di ripetizione
dell'indebito in quanto decorrente il periodo prescrizionale dalla
data di annotazione di ogni singola posta contestata, per «ius
superveniens», in relazione alla legge 26 febbraio 2011, n. 10,
Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011 supplemento ordinario
n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255
(c.d. Milleproroghe) ed in particolare con l'art. 2, comma 61, ove si
sanciva che la prescrizione relativa ai diritti nascenti
dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno
dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla
restituzione di importi gia' versati alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto-legge;
c) deduceva, peraltro, l'avvenuta decadenza dalla contestazione
degli estratti conto, atteso che il correntista, pur avendoli
ricevuti periodicamente, non li aveva mai impugnati entro il termine
di sessanta giorni di cui all'art. 119 del testo unico n. 385/1993;
d) affermava, inoltre, la legittimita' delle pattuizioni - e
delle consequenziali annotazioni in conto corrente - relative alla
capitalizzazione periodica degli interessi passivi e alla commissione
di massimo scoperto, per cui concludeva per il rigetto della domanda
attorea, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio.
Veniva celebrata la prima udienza del 25 giugno 2008, rinviata al
10 dicembre 2008, ove la parte attrice si riportava ai propri scritti
difensivi e la convenuta si costituiva in giudizio con deposito
rituale di fascicolo di parte.
Veniva rinviata la causa, riservato ogni provvedimento in ordine
alla richiesta di parte e, a scioglimento della medesima, il Giudice
unico concedeva i termini di cui all'art. 183, comma 6 codice di
procedura civile e differiva l'udienza alla data del 15 giugno 2009,
ove si riservava sulle eccezioni di parte convenuta e, a scioglimento
della riserva, rimetteva la parte attrice nei termini per deposito
note ex art. 183 e differiva l'udienza al 10 marzo 2010 per
l'ammissione dei mezzi di prova.
Alla summenzionata udienza le parti aderivano all'astensione e si
differiva al 28 settembre 2010 e al 15 dicembre 2010, ove le parti
rassegnavano le proprie conclusioni e si differiva al 23 maggio 2011
per i medesimi incombenti.
A tale udienza l'odierno Giudice unico, che ha preso in carico il
procedimento, tratteneva la causa in decisione, concedendo i termini
di cui all'art. 190 del codice di procedura civile e le parti
depositavano ritualmente memorie conclusionali e repliche. La parte
attrice, nella sostanza, ha rilevato che alla norma dell'art. 2,
comma 61 riferita alla legge 26 febbraio 2011, n. 10 - Gazzetta
Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011 supplemento ordinario n. 53, che
ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d.
Milleproroghe), richiamando, peraltro, una serie di pronunce della
giurisprudenza di merito, oltre alla nota sentenza del Supremo
collegio a sezioni unite (n. 24418-2010) non sarebbe attribuibile un
qualsivoglia effetto retroattivo della norma in parola, rilevando che
«in subiecta materia» l'articolo avrebbe solo una funzione
dispositiva e non interpretativa, per cui la stessa, secondo i
principi generali dell'ordinamento giuridico (ex art. 12 disp. prel.
leggi del codice civile) sarebbe applicabile solo per il futuro e non
per le situazioni preesistenti. Inoltre sarebbe stato violato anche
il principio di certezza del diritto con la suindicata disposizione,
delimitando la precipua funzione nomofilattica o di nomofilachia
volta a «garantire l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione
della legge, l'unita' del diritto oggettivo nazionale» che l'art. 65
della legge sull'ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio
1941, n. 12), attribuisce alla Corte suprema di cassazione, e
sovvertendo i principi sanciti dalla massima a sezioni unite del
Supremo collegio (n. 24418/2010) la quale indicherebbe,
esclusivamente, che il pagamento avverrebbe solamente dalla chiusura
del conto e non con l'annotazione. Da cio' ne conseguirebbe, sulla
scorta dell'art. 2033 del codice civile che solo al momento della
chiusura del conto corrente sorgerebbe il diritto di ripetere cio'
che si e' pagato e solo da quel momento decorrera' il termine di
prescrizione per azionare la pretesa.
Diversamente opinando la parte convenuta ha sollevato la piena
applicabilita' della disposizione surrichiamata, sostenendo che essa
debba essere, sulla scorta della lettura della norma, applicata alle
situazioni giuridiche preesistenti ed in particolare rilevando che il
pagamento dell'attore comunque sarebbe gia' stato effettuato ed il
giudizio avrebbe natura di mero giudizio di accertamento di un
eventuale credito di natura restitutoria e come tale seguirebbe le
indicazioni normative formulate dalla surrichiamata disciplina, a
titolo di «ius superveniens», sotto il profilo della prescrizione e
decadenza.
Deduceva, inoltre, parte convenuta che l'art. 2, comma 61 aveva
tutti i presupposti della chiarezza della norma e determinava, nel
suo contenuto precettivo, la immediata applicabilita' retroattiva.
Questo Giudicante, nella sua precipua funzione di «Giudice a quo»
ritiene che, prima di analizzare tutti gli elementi di merito
indicati dalle parti, si debba pregiudizialmente e preliminarmente,
risolvere il nodo della legittimita' della norma in oggetto, quale
l'art. 2, comma 61 riferita alla legge 26 febbraio 2011, n. 10 -
Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, supplemento ordinario
n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255
(c.d. Milleproroghe) e se essa ha una funzione dispositiva o, alla
stregua dei principi delle norme esistenti nel nostro ordinamento,
sia di natura autentica e interpretativa e come tale abbia efficacia
retroattiva.
L'esegesi di tale disposizione normativa impone all'odierno
Giudicante di dirimere, pertanto, previa sospensione dell'odierno
procedimento, la questione solo rimettendola alla curia regolatrice
delle leggi, sulla scorta dei parametri offerti dalla nostra Carta
costituzionale e dai principi offerti dalle norme pattizie che
offrono degli strumenti mediati per l'applicazione e la verifica del
parametro costituzionale violato.
Il Tribunale, nella persona dell'odierno Giudicante, ritiene
sussistenti i presupposti per sollevare d'ufficio questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, limitatamente al comma 61
riferita alla legge 26 febbraio 2011, n. 10 - Gazzetta Ufficiale n.
47 del 26 febbraio 2011, supplemento ordinario n. 53, che ha
convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d.
Milleproroghe), in quanto unica disposizione applicabile alla
fattispecie in esame.
Rimessione della questione pregiudiziale alla Corte
costituzionale.
Sulla non manifesta infondatezza della questione - questioni di
diritto: nel presente giudizio civile la questione preliminare di
legittimita' costituzionale dell'impugnata norma e' rilevante e non
manifestamente infondata in quanto dalla decisione della stessa
dipende il contenuto della pronuncia che questo Giudicante si e'
riservato di prendere sulle richieste della difesa delle parti e piu'
in generale sull'istruzione della causa.
Questo Giudicante ritiene che, allo stato, si debba, previa
sospensione dell'odierno procedimento, rimettere la questione
preliminare e pregiudiziale in ordine alla legittimita' o meno della
norma dell'art. 2, comma 61, legge 26 febbraio 2011, n. 10 - Gazzetta
Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, supplemento ordinario n. 53,
che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 255 (c.d.
Milleproroghe), anche alla stregua del recente orientamento
giurisprudenziale della Suprema corte di cassazione a sezioni unite
con la sentenza n. 24418/2010 ed in relazione ai principi di ordine
sistematico che informano il nostro ordinamento giuridico, in materia
di fonti del diritto.
Il testo della norma surrichiamata, per il quale si chiede
l'intervento della curia regolatrice delle leggi, cosi' recita: «In
ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art.
2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione
relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a
decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa
luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge» (per
facilita' di comprensione e reperimento vedansi art. 2, comma 61 del
testo del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, coordinato con le
modifiche apportate con la legge di conversione 26 febbraio 2011, n.
10, secondo il testo redatto dal Ministero della giustizia ai sensi
degli articoli 10, comma 2 e 3 e 11, comma 1 del decreto del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092, testo unico
delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi e sulle
pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana).
Pertanto, punto di partenza del diritto di ripetizione
dell'indebito e' l'individuazione del momento in cui, nelle
operazioni regolate in conto corrente bancario, si verifica il
pagamento, ovvero vengono pagati indebiti interessi anatocistici ed
ultralegali, indebite commissioni di massimo scoperto trimestrale,
indebite valute fittizie e spese forfettarie. A questa domanda hanno
risposto le sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza 2
dicembre 2010, n. 24418, la quale ha sancito: «Se, dopo la
conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato
in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la
nullita' della clausola che prevede la corresponsione di interessi
anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a
questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione
di ripetizione e' soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal
correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione
ripristinatoria della provvista, dalla data in cui e' stato estinto
il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati».
Pertanto le S.U. hanno ineccepibilmente individuato
nell'estinzione del saldo di chiusura il momento in cui si verifica
il pagamento dell'indebito e dal quale nasce il diritto di
ripetizione e, dunque, il momento dal quale decorre il termine
prescrizionale, cosi' come previsto dall'art. 2935 del codice civile,
anche con l'interpretazione imposta dall'art. 2, comma 61, della
legge 26 febbraio 2011, n. 10, per la ripetizione dell'indebito.
Le conclusioni rassegnate da parte attrice sono in questa
direzione, quindi proprio con riferimento ai recenti orientamenti
giurisprudenziali, che ricollegano il «dies a quo» dalla chiusura del
conto. Presupposto, per la decorrenza del termine prescrizionale,
secondo le sezioni unite, quindi e' il pagamento e non l'annotazione,
ricollegandosi ad essa una attivita' meramente materiale precipua
della funzione degli istituti bancari.
L'annotazione in conto di una siffatta posta comporta solo un
incremento del debito del correntista, o una riduzione dei crediti di
cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un
pagamento, nei termini sopra indicati: perche' non vi corrisponde
alcuna attivita' solutoria del correntista medesimo in favore della
banca.
Per il resto, e' noto che l'estratto conto e' considerato mero
documento contabile, da cui discende che le operazioni bancarie in
esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza
del conto corrente ordinario, non danno luogo alla costituzione di
autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente e la
banca, ma rappresentano l'esecuzione di un unico negozio, da cui
deriva il credito o il debito del cliente verso la banca. Pertanto,
la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da
una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti
solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quello della
validita' ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite
inserite nel conto derivano. Infatti, le contestazioni non possono
coinvolgere il titolo contrattuale dell'operazione, che e' regolata
dalle norme generali sui contratti, ma solo la conformita' delle
singole concrete operazioni ai patti ed alla realta' del loro
andamento. Una contestazione dell'estratto del conto non e' specifica
ove riguardi la vincolativita' o meno del patto contrattuale che
obbliga a corrispondere una certa misura degli interessi, dal momento
che per tale contestazione e' da ritenersi necessaria l'impugnativa
del contratto stesso. Dunque, la prescrizione dei diritti derivanti
dalla validita' ed efficacia dei rapporti obbligatori, dai quali le
partite inserite nel conto derivano, ha come punto di riferimento non
la mera appostazione contabile, ma il rapporto negoziale. L'azione di
ripetizione ha un necessario presupposto: la chiusura del conto. Solo
con la chiusura del conto si ha un pagamento: prima non si puo'
parlare di azione di ripetizione e non si puo' parlare di decorso di
un diritto che viene a concretizzarsi, magari dopo trent'anni
all'appostazione sul conto. Vi e' piu' la circostanza, sostenuta, tra
l'altro da ampia giurisprudenza di legittimita' e di merito (Vd.
Cass. Civ. 2301/2004 e 1929/2010 - Giurisprudenza di merito:
Tribunale di Brescia 29 marzo 2011; Corte di appello Ancona 3 marzo
2011; Tribunale di Taranto emessa dalla dott.ssa Enrica Di Tursi,
sentenza n. 445 del 3 marzo 2011, n. 445, e quella del Tribunale di
Palmi del 4 marzo 2011) ha sancito che il termine per la ripetizione
dell'indebito decorre dalla chiusura del conto corrente ed essa si
prescrive in dieci anni.
Parte attrice, inoltre, richiama l'irrilevanza della norma
contenuta sul Milleproroghe, sotto il profilo della irretroattivita'
di una norma sostanziale e, comunque, non processuale e non
applicabile, conseguentemente a fatti e/o situazioni sorti
precedentemente come nel caso di specie nella controversia che ci
interessa.
La norma dell'art. 2, comma 61 (decreto Milleproroghe) ha effetto
solo per l'avvenire, trattandosi di norma di natura dispositiva e non
interpretativa.
Il disposto invocato, per altro verso, ha indubbia portata
innovativa ma dispositiva, al di la' della presunta natura meramente
interpretativa non retroattiva, ditalche', anche a voler disattendere
quanto appena detto, non potrebbe trovare applicazione la medesima
norma in relazione alla presente controversia, trattandosi si' di
norma sostanziale, ma che non puo' di certo introdurre,
retroattivamente effetto estintivo del diritto azionato dall'attore.
L'attore ha azionato la pretesa nei termini di legge, essendo il
conto corrente n. 1403 acceso il 23 giugno 1988 ed estinto in data 10
giugno 2002 ed aver ritualmente notificato l'atto introduttivo del
giudizio, interruttivo, tra l'altro della prescrizione, il 7 marzo
2008.
Infatti, non si potrebbe validamente sostenere che si sia
prescritto il diritto di ripetere un versamento effettuato con
un'annotazione in conto risalente agli anni '88 e chiuso nell'ipotesi
nel 2002, quando solo in quell'anno si e' tecnicamente concretizzato
il pagamento. Alla data dell'annotazione si prescrivono solo ed
esclusivamente i diritti derivanti dalla mera appostazione contabile,
ma non certo quelli derivanti dalle nullita' negoziali originarie.
Consolidata giurisprudenza della S.C. ha chiarito come non vada
confuso il contratto costitutivo del relativo rapporto obbligatorio,
regolato dagli articoli 1284 e 1283 codice civile, con la singola
annotazione in conto che, in se e per se', influisce solo a livello
quantitativo sul rapporto: infatti, l'approvazione dell'estratto
conto rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le registrazioni
a debito e credito nella loro realta' contabile, ma non anche
l'efficacia e la validita' dei rapporti sostanziali.
Sulla scorta delle suindicate premesse in diritto l'odierno
«Giudice a quo» indica le norme costituzionali violate, tali da
considerare la questione non manifestamente infondata e tale da
consentire un sindacato di legittimita' della Suprema curia
regolatrice delle leggi.
Violazione delle norme costituzionali.
Le norme violate da tale disposizione sono gli articoli 3
(principi di uguaglianza e di ragionevolezza), 24 e 102 (diritto di
tutela dei propri diritti davanti agli organi giurisdizionali
ordinari), 41 e 47 (principi di liberta' dell'iniziativa economica
privata e di tutela del risparmio) della Costituzione ancora, il
principio del giusto processo, cosi' come l'art. 117 Cost., in
materia di rispetto degli obblighi assunti sul piano internazionale,
con la sottoscrizione della CEDU.
Violazione dell'art. 3 Cost. - Violazione del principio di
certezza del diritto e ragionevolezza della norma.
La banca convenuta, infatti, in comparsa di costituzione ha
tempestivamente eccepito la prescrizione dell'azione di restituzione
dell'indebito proposta dall'attore ai sensi dell'art. 2033 codice
civile, per cui se la nuova norma dovesse interpretarsi nel senso che
la prescrizione decennale decorre non dalla data di estinzione del
rapporto di conto corrente (come di recente confermato da Cass. Civ.
S.U. n. 24418/10) ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto
(art. 2-quinquies, comma 9 prima parte della impugnata legge), la
conseguenza sarebbe l'estinzione per prescrizione del diritto
dell'attore alla restituzione degli importi versati a titolo
solutorio e annotati in data anteriore al 10 marzo 1998, vale a dire
annotati oltre dieci anni prima della data di notificazione della
richiesta giudiziale di restituzione dell'indebito, che rappresenta
il primo degli atti interruttivi della prescrizione risultante in
atti.
Inoltre, se la seconda parte della norma impugnata (... In ogni
caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto-legge») dovesse interpretarsi nel senso che nelle operazioni
bancarie regolate in conto corrente ciascuna delle parti (... nel
caso la banca) puo' non restituire gli importi gia' versati alla data
del 27 febbraio 2011, anche se non dovuti, la conseguenza sarebbe il
rigetto totale della domanda di restituzione dell'attore, in quanto,
il rapporto bancario in conto corrente e' stato chiuso
consensualmente dalle parti in data 10 giugno 2002, per cui i
versamenti sono tutti antecedenti alla data di entrata in vigore
della legge 26 febbraio 2011, n. 10.
Infatti, se non fosse intervenuta la disposizione dell'art. 2,
comma 61, legge 26 febbraio 2011, n. 10, contenuta nel decreto
Milleproroghe, per cui oggi si chiede un intervento non solo sulla
questione di legittimita' della medesima norma censurata, ma anche
interpretativo della curia regolatrice delle leggi, condividendo,
peraltro, questo Giudicante i principi di diritto sanciti dalla Corte
di cassazione con la recente sentenza a sezioni unite n. 24418/2010,
antecedente alla disposizione surrichiamata, non si sarebbe violato
il principio supremo della certezza del diritto che, nella sua
funzione nomofilattica, viene demandato, per legge, alla Suprema
corte di cassazione e volta a «garantire l'esatta osservanza e
l'uniforme interpretazione della legge, l'unita' del diritto
oggettivo nazionale» secondo la previsione dell'art. 65 della legge
sull'ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).
Come e' noto, il legislatore puo' adottare norme di
interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze
sull'applicazione di una disposizione o di contrasti
giurisprudenziali, ma anche «quando la scelta imposta dalla legge
rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con
cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore»
(sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex plurimis, sentenze
n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n.
170 del 2008, n. 24 del 2009).
Esaminando le norme interpretative, che il legislatore puo'
validamente adottare, esse non possono violare i limiti generali
all'efficacia retroattiva delle leggi, che sono il presidio e la
difesa dei diritti, oltre che dei principi costituzionali, e di altri
fondamentali valori di civilta' giuridica posti proprio a rispetto
dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento giuridico,
tenuto conto anche dei principi di derivazione sovranazionale. Tra
codesti principi emerge il rispetto del principio generale di
ragionevolezza, il principio del divieto di introdurre ingiustificate
disparita' di trattamento, il principio della tutela dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti per l'effetto nomofilattico delle
pronunce della Corte di cassazione, la coerenza e la certezza
dell'ordinamento giuridico, il rispetto e la non invasione delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
Pertanto il legislatore per adottare, secondo gli insegnamenti
della medesima curia regolatrice delle leggi, o prevedere una norma
autentica e quindi con valore interpretativo deve esistere nel nostro
ordinamento giuridico una incertezza di diritto o comunque un forte
contrasto giurisprudenziale, che nel caso di specie non esiste.
Inoltre, proprio, passando al merito della questione di
legittimita' costituzionale, l'art. 3 della Costituzione e' violato
in quanto l'impugnato provvedimento contraddittoriamente ed
irragionevolmente riserva un ingiustificato trattamento di favore per
le banche e gli altri enti creditizi, sulla scorta di un
orientamento, peraltro minoritario, giurisprudenziale, che aveva
varato una interpretazione favorevole alla norma dell'art. 2935 del
codice civile, ma comunque disattesa dalla recente sentenza del
Supremo collegio con la sentenza n. 24418/2010 a sezioni unite, che
ha sancito un vero e proprio principio di diritto, ove il «dies a
quo» della prescrizione era stato indicato nella chiusura del conto e
non dalla annotazione, considerato tale solo un elemento
giustificativo contabile.
Verrebbe, di fatto, cioe', cancellato, per atto dell'esecutivo,
un granitico principio di diritto consolidato in una massima del
Supremo collegio che chiarisce in maniera inequivoca il «dies a quo»
per la decorrenza del termine della prescrizione, sanando, peraltro,
irragionevolmente e retroattivamente il progresso, senza distinzione
alcuna in base al tempo di stipula del contratto, al contenuto del
contratto, tra vizi genetici e vizi funzionali del rapporto di conto
corrente, tra rapporti esauriti, rapporti in corso di esecuzione e
rapporti per i quali pende giudizio, tra interessi corrispettivi e
interessi moratori.
Nello specifico, l'impugnata norma, operando sui principi sanciti
dalla norma dell'art. 2935 del codice civile, introduce anche una
sanatoria di ben definiti ed individuabili rapporti di conto
corrente, preesistenti rispetto all'introduzione della norma
dell'art. 2, comma 61, che, di fatto, deroga al principio generale,
sebbene non di rango costituzionale, della irretroattivita' delle
norma di diritto sostanziale, cosi' violando il principio
costituzionale di uguaglianza.
L'impugnata disposizione, peraltro, restringe irragionevolmente,
andando ben oltre le finalita' del provvedimento, anche il campo
d'applicazione della norma dell'art. 2935 codice civile, derogando,
eccezionalmente, a quest'ultima norma in termini di decorrenza del
termine e costituendo, in tal guisa, anche una ingiustificata
disparita' di trattamento rispetto agli altri titolari di crediti
pecuniari derivanti dalle ripetizioni di somme indebitamente
corrisposte.
Ne' la sostanziale retroattivita' si spiega per la particolare
natura della norma, sicuramente innovativa e solo apparentemente «di
interpretazione autentica». Invero, un'interpretazione proveniente
dal legislatore si rende necessaria solo quando si determinano tra
gli operatori del diritto contrasti in ordine al significato di una
legge o alle sue conseguenze giuridiche, cosa non verificatasi per
l'art. 2935 del codice civile. Anzi, la soluzione legislativa
contrasta apertamente con l'interpretazione unanimemente data dai
Tribunali e dalle Corti della Repubblica, oltre alla recente sentenza
a sezioni unite del Supremo collegio n. 24418/2010.
La norma censurata, pertanto, anche in riferimento a quella che
deve essere una funzione del Giudice remittente di
interpretazione costituzionalmente orientata delle questioni da
sottoporre al vaglio della curia regolatrice delle leggi (cf. Corte
costituzionale ordinanze n. 191 del 2009, nn. 441, 440, 205 del
2008), deve essere considerata, sotto ogni profilo, di natura
dispositiva e quindi qualificarla come una norma che disciplina le
situazioni giuridiche successive all'entrata in vigore della legge
medesima, e non autentica e di natura interpretativa, con una
efficacia retroattiva.
Violazione dell'art. 24 Cost.
Le norme sulla prescrizione, come la norma in esame di cui
all'art. 2935 del codice civile, pur avendo una natura sostanziale,
producono i loro effetti sul piano processuale, atteso che invocando
l'effetto estintivo delle stesse e' possibile impedire ai titolari di
diritti di ottenerne la realizzazione in via giudiziaria. Ne consegue
che, ove l'impugnata norma si applicasse anche per il passato e ai
giudizi in corso, si avrebbe non solo una violazione del principio di
uguaglianza e un'ingiustificata disparita' di trattamento, ma anche
una limitazione dell'art. 24 della Costituzione, sotto il profilo
della violazione dei diritti di tutela primari, oltre che
un'invasione ingiustificata delle prerogative proprie della
magistratura ordinaria con violazione dell'art. 102 della
Costituzione.
Violazione degli articoli 41 e 47 Cost.
L'impugnata norma realizza una patente violazione dei principi di
tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese, sancito dalla
nostra Carta costituzionale, violandone, in tal guisa, gli articoli
41 e 47.
La norma di cui si chiede l'intervento della curia regolatrice
delle leggi, riportata in una piu' ampia ed articolata legge
denominata «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e
di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle
imprese e alle famiglie», nella realta' eluderebbe lo spirito stesso
della norma e la portata precettiva dell'intero «corpus normativo»,
poiche' piu' che supportare ed aiutare le famiglie e le imprese in
grave stato di solvibilita' ed economico, tenuto conto anche della
crisi contingentata economica attuale, porterebbe a colpire non solo
i diritti ma le legittime aspettative di essi, destinatari della
legge, di percepire somme indebitamente contabilizzate dalla
controparte durante lo svolgimento di rapporti in conto correnti e
percepite in violazione di norme di ordine pubblico quale il divieto
dell'anatocismo (art. 1283 del codice civile) e del decorso della
prescrizione (art. 2935 del codice civile) dal giorno in cui il
diritto puo' essere fatto valere, prestando il fianco a comportamenti
potenzialmente destinati ad essere illegittimi e fraudolenti.
La norma, di iniziativa governativa ed inserita con un maxi
emendamento nel testo di un ennesimo decreto-legge c.d. Milleproroghe
a pochi giorni dalla scadenza dello stesso, rischia di pregiudicare
irrimediabilmente anche il diritto (n.d.r. potenziale) delle banche
ad ottenere in restituzione somme date a mutuo ai correntisti in
regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate prima di
dieci anni dalla formale richiesta di rientro o di pagamento del
saldo finale di chiusura del conto.
Le considerazioni sopra sviluppate valgono a maggior ragione
riguardo alla seconda parte dell'impugnata norma, vale a dire a
quella sorta di norma transitoria la quale dispone che «... In ogni
caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto-legge». La suindicata norma risulta violativa di ogni diritto
costituzionalmente garantito (articoli 24, 41, 47), la quale, senza
null'altro aggiungere e precisare, determina che chi (anche una
banca) per sua sventura si trovi ad aver versato alla data del 27
febbraio 2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione
n. 10/2011) degli importi a credito in un rapporto regolato in conto
corrente non puo' ottenerli «in ogni caso» in restituzione dal suo
debitore.
Violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata e resa esecutiva
con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
La suindicata norma internazionale, che sancisce il diritto ad un
giusto processo dinanzi ad un Tribunale indipendente ed imparziale,
impone al legislatore di uno Stato contraente, nell'interpretazione
della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, di non
interferire nell'amministrazione della giustizia allo scopo
d'influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di
controversie, attraverso norme interpretative che assegnino alla
disposizione interpretata un significato vantaggioso per una parte
del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative d'interesse
generale».
Il legislatore ha adottato una norma interpretativa, in presenza
di differenti contenziosi sul nostro territorio, ma soprattutto
successivamente alla pronuncia della Corte di cassazione a sezioni
unite (n. 24418/2010), nettamente sfavorevole alle banche, ma che ha
cristallizzato un principio chiaro e supremo affermando, attraverso
simil massima,conseguentemente sia quella certezza di diritto sia del
principio del giusto procedimento. Dalla lettura di tale disposizione
normativa, oggi censurata, non e', invece, nella sua «ratio legis»,
dato rinvenire alcun tipo di evidente logica che fosse sussumibile
nelle «ragioni imperative d'interesse generale» che permettano di
escludere la violazione del divieto d'ingerenza. L'art. 117, primo
comma, Cost., ed in particolare l'espressione «obblighi
internazionali» in esso contenuta, si riferisce alle norme
internazionali convenzionali anche diverse da quelle contemplate
dagli articoli 10 e 11 Cost. Siffata problematica e' stata oggetto di
espresse pronunce della Corte costituzionale (sentenza nn. 348 e 349
del 2007).
L'art. 117, primo comma, Cost., e' stato nuovamente riletto ed ha
consentito di rinvenire un fondamento costituzionale anche
all'osservanza degli obblighi internazionali. Ne e' derivato che il
contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in
particolare della CEDU, e' idoneo a dar luogo ad una violazione
(mediata) dell'art. 117, primo comma, Cost.
D'altra parte anche la Suprema corte di cassazione (cfr ...
sentenza Cass. Civ. Sez. U. n. 28507-28508/2005), sotto questo
profilo, riconoscerebbe l'immediata precettivita', ai fini della
decisione e soluzione della controversia, delle disposizioni
convenzionali stabilite dalla CEDU, conferendo, in sintesi, una piu'
rilevante effettivita' e riconoscimento ai diritti fondamentali
sviluppati nell'ambito dello spazio giuridico Europeo. La nuova
norma, allora, dell'art. 117 Cost. prevede, nella sua riformulazione,
che la legislazione statale e regionale sono tenute ad osservare
oltre alla normativa comunitaria, nella formazione degli atti
legislativi di propria competenza, anche i vincoli derivanti dagli
obblighi internazionali.
Ne consegue che il Giudice comune ordinario deve interpretare la
norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale ed
entro i limiti nei quali sia permesso dai testi delle norme, ma non
e' allo stesso consentito disapplicare una norma interna con
prevalenza del diritto convenzionale, come invece e' previsto in caso
di contrasto con una norma comunitaria. In casi similari al Giudice
ordinario e' solo consentito, proprio in virtu' della riformulazione
del testo dell'art. 117 Cost., sollevare la questione di contrasto
della norma interna rispetto a quest'ultima, dinanzi alla Corte
costituzionale, ai fini della valutazione della sua legittimita'.
Pertanto attraverso una procedura standardizzata di rinvio del
diritto interno alle norme di rango superiore ossia alle norme
internazionale giuridicamente pertinenti e rilevanti, attraverso la
norma surrichiamata dell'art. 117 Cost., e' consentito al Giudice «a
quo» interno di un paese della Comunita' europea nel caso in cui si
profili un contrasto tra una norma interna e una norma della
Convenzione europea, procedere ad una interpretazione della prima
conforme a quella convenzionale. Ovviamente, la norma della CEDU non
prevarra' nella sola ipotesi in cui la stessa, nell'interpretazione
data dalla Corte europea, si ponga in conflitto con altre norme della
nostra Costituzione. Quando ricorra tale ipotesi, pure eccezionale,
si deve escludere l'operativita' del rinvio alla norma internazionale
e, dunque, la sua idoneita' ad integrare il parametro dell'art. 117,
primo comma, Cost.; e, non potendosi evidentemente incidere sulla sua
legittimita', comporta - allo stato - l'illegittimita', per quanto di
ragione, della legge di adattamento (principio sancito dalle pronunce
delle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007). Soltanto quando ritiene che
non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, come
nel caso di specie, il Giudice comune - il quale non puo' procedere
all'applicazione della norma della CEDU (allo stato, a differenza di
quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella
interna contrastante, tanto meno fare applicazione di una norma
interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e
pertanto con la Costituzione - deve sollevare la questione di
costituzionalita' (anche sentenza Corte costituzionale n. 239 del
2009), con riferimento al parametro dell'art. 117, primo comma,
Cost., ovvero anche dell'art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti
di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto
internazionale generalmente riconosciuta.
In questo specifico caso, anche in virtu' del carattere univoco
della disposizione censurata, non si ritiene sia possibile
un'interpretazione della stessa conforme a quella convenzionale
internazionale (art. 6 CEDU).
Il principio dello Stato di diritto e la nozione di processo equo
sancito dati' art. 6 della CEDU vietano l'interferenza del
legislatore nell'amministrazione della giustizia destinata a
influenzare l'esito della controversia, fatta eccezione che per
motivi imperativi di interesse generale («imperieux motifs d'interet
general» si cita SCM Scanner de l'Ouest ed autres c. France, sentenza
del 21 giugno 2007, ric. n. 12106/03) .
Infatti secondo gli insegnamenti della statuizione giudiziale
surrichiamata per esservi contrasto con l'art. 117, primo comma,
Cost. e, per suo tramite, con l'art. 6, par. 1, CEDU, si ritiene che
la norma censurata violi il divieto di ingerenza del potere
legislativo nell'amministrazione della giustizia «non essendo
necessario, alla luce della giurisprudenza della Corte europea di
Strasburgo che la disposizione retroattiva sia "esclusivamente
diretta ad influire sulla soluzione delle controversie in corso", ne'
che tale scopo sia stato comunque enunciato, essendo, invece,
sufficiente a ritenere fondato il conflitto con l'art. 6 della
Convenzione europea che nel procedimento sia applicata la
disposizione denunciata e lo stesso Stato sia parte nel giudizio e
consegua, dall'applicazione della norma come interpretata autentica».
In tal senso si e' pronunciata anche la Suprema corte di
cassazione con ordinanza interlocutoria n. 22260 del 4 settembre
2008.
Orbene la curia regolatrice delle leggi (cf. sentenza n. 234 del
2007) ha sancito che «ad una norma puo' essere demandata funzione di
natura interpretativa e quindi autentica, non potendosi considerare
essa disposizione lesiva dei principi costituzionali di
ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza
delle situazioni giuridiche, giacche' essa si limita ad assegnare
alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una
delle possibili letture del testo originario, in assenza, peraltro,
di un diritto vivente».
Nel caso di specie il diritto vivente e' stato sancito con la
sentenza delle sezioni unite del Supremo collegio (sentenza n.
2448/2010), in funzione nomofilattica ed ai sensi dell'art. 65 della
legge sull'ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n.
12) che demanda alla medesima curia giudiziaria «l'esatta osservanza
e l'uniforme interpretazione della legge, l'unita' del diritto
oggettivo nazionale», eliminando qualsiasi equivoco interpretativo
anche rispetto alle posizioni della giurisprudenza minoritaria
antecedente.
Oltretutto con la disposizione censurata, riconoscendole un
valore autentico interpretativo e retroattivo rispetto alla sua
funzione dispositiva, comporterebbe anche una «reformatio in malam
partem» sotto il profilo della disparita' patrimoniale ed economica
rispetto ad altri titolari di crediti pecuniari.
Ed ancora ... in virtu' del suddetto orientamento (che trova i
suoi precedenti nei casi Raffineries Grecques Stran e Stratis
Andreadis c. Grecia del 9 dicembre 1994, e Zielinski e altri c.
Francia, del 28 ottobre 1999) deve considerarsi violativa dell'art. 6
CEDU, la prassi di interventi legislativi sopravvenuti, che
modifichino retroattivamente, in senso sfavorevole per gli
interessati, le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui
lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti
all'epoca della modifica.
Infine si richiama, ad ulteriore conferma della violazione della
disposizione censurata rispetto ai parametri costituzionali, con
riferimento all'art. 6, par. 1 CEDU, la recentissima sentenza della
seconda sezione della Corte di Strasburgo sul caso «Agrati + altri c.
Italia», del 7 giugno del 2011.
La massima soprarichiamata ha sancito un principio secondo il
quale l'intervento legislativo dello Stato italiano (in un caso di
diritto del lavoro) non fosse giustificato da ragioni imperative di
interesse pubblico, cosi' da violare l'art. 6 della Convenzione, in
ogni caso, con tale statuizione si e' sancito che l'intervento
normativo disposto dal legislatore nel regolamentare in maniera
definitiva le controversie, si sostanziasse in una ingerenza
nell'esercizio del diritto di proprieta', cosi' da violare l'art. 1
del protocollo n. 1, per aver imposto un «onere eccessivo e anormale»
ai ricorrenti, in tal modo rendendo sproporzionato il pregiudizio
alla loro proprieta' e rompendo il giusto equilibrio tra le esigenze
di interesse pubblico e la tutela dei diritti fondamentali
individuali.
La seconda sezione della Corte di Strasburgo, nell'assumere
siffatta decisione, ha invero ribadito le linee fondamentali della
propria giurisprudenza - cui, del resto, entrambe le Corti nazionali
di ultima istanza avevano fatto necessario riferimento - ricordando,
in primo luogo, che: «se, in linea di principio, il legislatore puo'
regolamentare in materia civile, mediante nuove disposizioni
retroattive, i diritti derivanti da leggi gia' vigenti, il principio
della preminenza del diritto e la nozione di equo processo sancito
dall'art. 6 ostano, salvo che per ragioni imperative di interesse
generale, all'ingerenza del legislatore nell'amministrazione della
giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una
controversia (sentenza Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis,
cit., § 49, serie A n. 301-B; Zielinski e Pradal & Gonzales e altri
cit., § 57). (...) L'esigenza della parita' delle armi comporta
l'obbligo di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilita' di
presentare il suo caso, in condizioni che non comportino un
sostanziale svantaggio rispetto alla controparte (vedi, in
particolare, causa Dombo Beheer BV c. Paesi Bassi, dal 27 ottobre,
1993, 33, Serie A, No. 274, e Raffinerie greche Strati e Stratis
Andreadis, 46).
La Corte EDU ha, inoltre, precisato che, secondo la propria
giurisprudenza, «un ricorrente puo' addurre la violazione dell'art. 1
del protocollo n. 1 solo nella misura in cui le decisioni che
contesta sono relative alla sua "proprieta'" ai sensi della presente
disposizione. La nozione di "proprieta'" puo' concernere sia i "beni
esistenti" che i valori patrimoniali, ivi compresi, in determinati
casi ben definiti, i crediti. Affinche' un credito possa considerarsi
un "valore patrimoniale", ricadente nell'ambito di applicazione
dell'art. 1 del protocollo n. 1, e' necessario che il titolare del
credito lo dimostri in relazione al diritto interno, per esempio,
sulla base di una consolidata giurisprudenza dei tribunali nazionali.
Una volta dimostrato, puo' entrare in gioco il concetto di "legittimo
affidamento"» (Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 63, CEDU
2005-IX).
Ed, infine, puntualizzato che, grazie ad una conoscenza diretta
della societa' e dei suoi bisogni, «le autorita' nazionali sono in
via di principio in una posizione migliore rispetto al giudice
internazionale per determinare cio' che rientra nel concetto di
"pubblica utilita'"». Nel sistema di tutela istituito dalla
Convenzione, le autorita' nazionali devono quindi decidere per prime
se esiste un interesse generale che giustifica la privazione della
proprieta'. Di conseguenza, esse dispongono di un certo margine di
apprezzamento. La decisione di adottare una legislazione restrittiva
della proprieta' di solito comporta valutazioni di ordine politico,
economico e sociale. Considerando normale che il legislatore disponga
di un'ampia liberta' di condurre una politica economica e sociale, la
Corte deve rispettare il modo in cui egli concepisce gli imperativi
di «pubblica utilita'» a meno che la sua decisione sia manifestamente
priva di ragionevole fondamento (Presse Compania Naviera SA e altri
c. Belgio, 20 novembre 1995, § 37, Serie A, n. 332, e Broniowski c.
Polonia [GC], n. 31443/96, § 149, CEDU 2004-V). In linea generale, il
solo interesse economico non giustifica l'intervento di una legge
retroattiva di convalida di misure restrittive della proprieta' e
quindi di valori patrimoniali quali i diritti di credito, come nel
caso di specie riferito al procedimento sospeso.
Questa prassi, pertanto, puo' essere suscettibile di comportare
una violazione patente, sulla scorta del paradigma costituzionale
offerto dall'art. 117, dell'art. 6 della CEDU, risolvendosi in
un'indebita ingerenza del potere legislativo sull'amministrazione
della giustizia, anche per il mero fatto che non vi e' alcuna
giustificazione di rinvio a «motivi imperativi di interesse
generale», tra l'altro nemmeno elencati nelle norme oggetto di
richiesta di pronuncia di costituzionalita'.
La medesima curia regolatrice delle leggi (cfr ... Corte
costituzionale sentenza nn. 392 e 393 del 2007) ha ribadito che un
evidente contrasto tra i precetti sanciti da una norma interna e una
norma convenzionale e quindi degli obblighi internazionali,
menzionati dall'art. 117 Cost., configura una grave violazione dei
parametri costituzionali, operando, in tal guisa, una automatica
remissione della questione dinanzi al Giudice delle leggi.
Nell'ipotesi di devoluzione della questione alla Corte, quest'ultima
dovra' verificare se le stesse norme CEDU, nell'interpretazione della
Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali
equivalente a quella riferita ai principi incardinati nella nostra
Carta costituzionale, rispettando quel giusto equilibrio e
bilanciamento degli interessi, ancorche' disciplinati da convenzioni
internazionali.
P.Q.M.
Letti gli articoli 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87:
1) il Tribunale ordinario di Velletri, nella persona del Giudice
unico (GOT) dott. Maurizio Colangelo sospende il procedimento in
corso;
2) il Tribunale ordinario di Velletri, nella persona del Giudice
unico (GOT) dott. Maurizio Colangelo promuove di ufficio, per i
motivi enucleati nella parte dispositiva della odierna ordinanza di
remissione degli atti alla ecc.ma Corte costituzionale, per
violazione degli articoli 3, 24, 41, 47 e 102 e 117 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale della legge 26
febbraio 2011, n. 10, di conversione con modificazioni del
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, nella parte in cui all'art.
1, comma 1, richiamando l'allegato «Modificazioni apportate in sede
di conversione al decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225» ha
introdotto nell'ordinamento giuridico la seguente norma:
«Modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 29
dicembre 2010, n. 225: all'art. 2 dopo il comma 19 sono aggiunti i
seguenti commi: ... (omissis) ... e' stato aggiunto il «comma 61 che
recita: "... In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto
corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la
prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto
inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso
non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto-legge».
Per l'effetto codesto Giudicante remittente sottopone alla
valutazione della Suprema curia regolatrice delle leggi che,
accertata la fondatezza delle questioni sopra narrate, dichiari la
illegittimita' costituzionale delle disposizioni di legge nel solo
significato difforme da Costituzione e, conseguentemente, emetta
statuizione principale di fondatezza della questione di legittimita'
costituzionale in ordine alle violazioni dei parametri costituzionali
operati dalla disposizione legislativa censurata e surrichiamata nel
dispositivo, e conseguentemente adotti anche una sentenza
interpretativa di accoglimento con formulazione di principio,
dichiarando la irretroattivita' della disposizione, oggetto
dell'ordinanza di remissione;
3) ordina che, a cura della cancelleria, la presente
ordinanza sia notificata A) alle parti in causa; B) al Presidente del
Consiglio dei ministri; C) nonche' comunicata al Presidente del
Senato; D) Presidente della Camera dei deputati; E) sia trasmessa
alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale e con la
prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni.
Velletri, addi' 12 ottobre 2011
Il Giudice DI TRIBUNALE: Colangelo