- STUDIO LEGALE MAURIZIO COLANGELO

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N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 2011

Ordinanza del 17 ottobre 2011 emessa dal Tribunale  di  Velletri  nel
procedimento civile promosso da Mannucci Luigi contro Banca  Popolare
del Lazio Soc. coop. a r.l..

Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate  in  conto
 corrente  -  Diritti   nascenti   dall'annotazione   in   conto   -
 Prescrizione - Decorrenza dal giorno dell'annotazione -  Previsione
 in via di  interpretazione  autentica  dell'art.  2935  del  codice
 civile - Contestuale esclusione della restituzione di importi  gia'
 versati alla data di entrata in vigore della legge n. 10 del 2011 -
 Violazione dei principi di certezza del diritto e di ragionevolezza
 - Violazione dei limiti  all'adozione  di  leggi  interpretative  o
 retroattive - Ingiustificato trattamento di favore per le banche  -
 Ingiustificata restrizione della ripetibilita'  dell'indebito,  con
 disparita' di trattamento fra i titolari  dei  relativi  crediti  -
 Violazione del principio di uguaglianza - Violazione della garanzia
 di tutela giurisdizionale dei diritti ed  invasione  ingiustificata
 delle prerogative della Magistratura ordinaria -  Violazione  della
 tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese - Incidenza sul
 potenziale diritto delle banche alla restituzione delle somme  date
 a mutuo ai correntisti in regime di apertura di  credito  in  conto
 corrente - Contrasto con il divieto di  ingerenza  del  legislatore
 nell'amministrazione  della  giustizia  (salvo   che   per   motivi
 imperativi di interesse generale),  sancito  a  garanzia  dell'equo
 processo  dalla  Convenzione  per  la  salvaguardia   dei   diritti
 dell'uomo (CEDU), come interpretata dalla  Corte  di  Strasburgo  -
 Conseguente  inosservanza  di  vincoli  derivanti  dagli   obblighi
 internazionali.
- Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61,  aggiunto
 dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.
- Costituzione, artt. 3, 24, 41, 47,  102  e  117,  primo  comma,  in
 relazione all'art. 6 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
 diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata e  resa
 esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
(GU n.20 del 16-5-2012 )
                               
                           IL TRIBUNALE


   Ordinanza rimessione alla Corte costituzionale,  ai  sensi  degli
articoli 134 e 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9
febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
   PROC: 1574/2008 R.G., tra Mannucci Luigi, rappresentato e  difeso
da se' medesimo e dall'avv.  Alessandra  Gallini,  parte  attrice,  e
Banca Popolare del Lazio Soc. coop. a r.l.,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Antonio Giovannoni, parte convenuta.
   Il Giudice unico dott. Maurizio Colangelo ha emesso  la  seguente
ordinanza nella causa  iscritta  al  n.  1574/2008  R.G.,  avente  ad
oggetto: azione di ripetizione di somme  indebitamente  percepite  in
rapporto   di   conto   corrente   bancario,    declaratoria    della
capitalizzazione degli interessi trimestrali, restituzione  somme  in
relazione alla clausola massimo scoperto ed altro.
   Svolgimento del processo.
   Con atto di citazione, l'attore conveniva in  giudizio  l'odierno
convenuto, per ivi sentir accogliere le seguenti  conclusioni:«voglia
il  Giudice  adito,  in  via  principale,   previo   accertamento   e
declaratoria della nullita' delle  clausole  contrattuali  impugnate,
condannare la banca convenuta alla rifusione delle seguenti somme:
   a) euro 17.909,73, a titolo di capitalizzazione trimestrale;
   b)  euro  1.671,69,  a  titolo  di  massimo  scoperto,  e   cosi'
complessivamente euro  19.581,42,  o  quella  maggiore  o  minore  di
giustizia, oltre interessi legali a partire dalle singole scadenze  e
rivalutazione monetaria.
   Deduceva parte attrice  l'illegittimita'  delle  capitalizzazioni
trimestrali su interessi  passivi,  poiche'  in  violazione  sia  con
l'art. 1283 del codice civile sia per la  nullita',  ravvisata  anche
per il periodo anteriore, rispetto al  mutamento  di  giurisprudenza,
perche' in contrasto con una norma imperativa,  tenendosi  conto  che
l'art. 25, comma 3, decreto legislativo n. 342/1999  (che  conservava
in via transitoria la validita' ed efficacia dei patti anteriori alla
riforma) e' stato dichiarato illegittimo dalla Consulta con  sentenza
n. 425 del 17 ottobre 2000; la declaratoria della  nullita'  travolge
l'intera pattuizione, comportando  la  integrale  restituzione  delle
somme indebitamente percepite.
   Parte attrice  deduceva,  inoltre,  l'illegittimita'  dello  «ius
variandi»  poiche'  la  relativa  pattuizione  violava  il   disposto
dell'art. 1284 del codice civile che prevedeva  la  necessita'  della
forma  scritta  per  la  determinazione  del   tasso   di   interesse
ultralegale e per la violazione dell'art. 1346 del codice civile  per
la indeterminabilita' dell'oggetto del contratto.
   Deduceva parte attrice l'illegittimita' della  clausola  relativa
alle commissioni massimo scoperto operate sul conto corrente n.  1403
acceso in data 23 giugno 1988 e successivamente estinto  in  data  10
giugno 2002. Deduceva,  inoltre,  l'illegittimita'  del  computo  dei
diversi giorni valuta, perche' pratica che  consente  alla  banca  di
lucrare maggiori competenze nei conti creditori.
   Parte convenuta depositava comparsa di costituzione e risposta  e
relativo fascicolo, ove sollevava una serie di eccezioni.
   Instaurato regolarmente il contraddittorio, la banca eccepiva  in
via preliminare:
   a)  la  nullita'  dell'atto  di  citazione  per  genericita'   ed
indeterminatezza dei fatti costitutivi posti a base della  domanda  e
nel merito tempestivamente eccepiva;
   b)  la  prescrizione   decennale   dell'azione   di   ripetizione
dell'indebito in quanto decorrente il  periodo  prescrizionale  dalla
data di annotazione  di  ogni  singola  posta  contestata,  per  «ius
superveniens», in relazione alla  legge  26  febbraio  2011,  n.  10,
Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011  supplemento  ordinario
n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre  2010,  n.  255
(c.d. Milleproroghe) ed in particolare con l'art. 2, comma 61, ove si
sanciva  che   la   prescrizione   relativa   ai   diritti   nascenti
dall'annotazione   in   conto   inizia   a   decorrere   dal   giorno
dell'annotazione  stessa.  In  ogni  caso  non  si  fa   luogo   alla
restituzione di importi gia' versati alla data di entrata  in  vigore
della legge di conversione del presente decreto-legge;
   c) deduceva, peraltro, l'avvenuta decadenza  dalla  contestazione
degli  estratti  conto,  atteso  che  il  correntista,  pur  avendoli
ricevuti periodicamente, non li aveva mai impugnati entro il  termine
di sessanta giorni di cui all'art. 119 del testo unico n. 385/1993;
   d) affermava, inoltre, la  legittimita'  delle  pattuizioni  -  e
delle consequenziali annotazioni in conto corrente  -  relative  alla
capitalizzazione periodica degli interessi passivi e alla commissione
di massimo scoperto, per cui concludeva per il rigetto della  domanda
attorea, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio.
   Veniva celebrata la prima udienza del 25 giugno 2008, rinviata al
10 dicembre 2008, ove la parte attrice si riportava ai propri scritti
difensivi e la convenuta  si  costituiva  in  giudizio  con  deposito
rituale di fascicolo di parte.
   Veniva rinviata la causa, riservato ogni provvedimento in  ordine
alla richiesta di parte e, a scioglimento della medesima, il  Giudice
unico concedeva i termini di cui all'art.  183,  comma  6  codice  di
procedura civile e differiva l'udienza alla data del 15 giugno  2009,
ove si riservava sulle eccezioni di parte convenuta e, a scioglimento
della riserva, rimetteva la parte attrice nei  termini  per  deposito
note ex  art.  183  e  differiva  l'udienza  al  10  marzo  2010  per
l'ammissione dei mezzi di prova.
   Alla summenzionata udienza le parti aderivano all'astensione e si
differiva al 28 settembre 2010 e al 15 dicembre 2010,  ove  le  parti
rassegnavano le proprie conclusioni e si differiva al 23 maggio  2011
per i medesimi incombenti.
   A tale udienza l'odierno Giudice unico, che ha preso in carico il
procedimento, tratteneva la causa in decisione, concedendo i  termini
di cui all'art. 190  del  codice  di  procedura  civile  e  le  parti
depositavano ritualmente memorie conclusionali e repliche.  La  parte
attrice, nella sostanza, ha rilevato  che  alla  norma  dell'art.  2,
comma 61 riferita alla legge 26  febbraio  2011,  n.  10  -  Gazzetta
Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011 supplemento ordinario n. 53, che
ha convertito  il  decreto-legge  29  dicembre  2010,  n.  255  (c.d.
Milleproroghe), richiamando, peraltro, una serie  di  pronunce  della
giurisprudenza di  merito,  oltre  alla  nota  sentenza  del  Supremo
collegio a sezioni unite (n. 24418-2010) non sarebbe attribuibile  un
qualsivoglia effetto retroattivo della norma in parola, rilevando che
«in  subiecta  materia»  l'articolo   avrebbe   solo   una   funzione
dispositiva e non  interpretativa,  per  cui  la  stessa,  secondo  i
principi generali dell'ordinamento giuridico (ex art. 12 disp.  prel.
leggi del codice civile) sarebbe applicabile solo per il futuro e non
per le situazioni preesistenti. Inoltre sarebbe stato  violato  anche
il principio di certezza del diritto con la suindicata  disposizione,
delimitando la precipua  funzione  nomofilattica  o  di  nomofilachia
volta a «garantire l'esatta osservanza e  l'uniforme  interpretazione
della legge, l'unita' del diritto oggettivo nazionale» che l'art.  65
della legge sull'ordinamento giudiziario (regio  decreto  30  gennaio
1941, n.  12),  attribuisce  alla  Corte  suprema  di  cassazione,  e
sovvertendo i principi sanciti dalla  massima  a  sezioni  unite  del
Supremo   collegio   (n.   24418/2010)   la    quale    indicherebbe,
esclusivamente, che il pagamento avverrebbe solamente dalla  chiusura
del conto e non con l'annotazione. Da cio'  ne  conseguirebbe,  sulla
scorta dell'art. 2033 del codice civile che  solo  al  momento  della
chiusura del conto corrente sorgerebbe il diritto  di  ripetere  cio'
che si e' pagato e solo da quel  momento  decorrera'  il  termine  di
prescrizione per azionare la pretesa.
   Diversamente opinando la parte convenuta ha  sollevato  la  piena
applicabilita' della disposizione surrichiamata, sostenendo che  essa
debba essere, sulla scorta della lettura della norma, applicata  alle
situazioni giuridiche preesistenti ed in particolare rilevando che il
pagamento dell'attore comunque sarebbe gia' stato  effettuato  ed  il
giudizio avrebbe natura  di  mero  giudizio  di  accertamento  di  un
eventuale credito di natura restitutoria e come  tale  seguirebbe  le
indicazioni normative formulate  dalla  surrichiamata  disciplina,  a
titolo di «ius superveniens», sotto il profilo della  prescrizione  e
decadenza.
   Deduceva, inoltre, parte convenuta che l'art. 2, comma  61  aveva
tutti i presupposti della chiarezza della norma  e  determinava,  nel
suo contenuto precettivo, la immediata applicabilita' retroattiva.
   Questo Giudicante, nella sua precipua funzione di «Giudice a quo»
ritiene che,  prima  di  analizzare  tutti  gli  elementi  di  merito
indicati dalle parti, si debba pregiudizialmente  e  preliminarmente,
risolvere il nodo della legittimita' della norma  in  oggetto,  quale
l'art. 2, comma 61 riferita alla legge 26  febbraio  2011,  n.  10  -
Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, supplemento  ordinario
n. 53, che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre  2010,  n.  255
(c.d. Milleproroghe) e se essa ha una funzione  dispositiva  o,  alla
stregua dei principi delle norme esistenti  nel  nostro  ordinamento,
sia di natura autentica e interpretativa e come tale abbia  efficacia
retroattiva.
   L'esegesi  di  tale  disposizione  normativa  impone  all'odierno
Giudicante di dirimere,  pertanto,  previa  sospensione  dell'odierno
procedimento, la questione solo rimettendola alla  curia  regolatrice
delle leggi, sulla scorta dei parametri offerti  dalla  nostra  Carta
costituzionale e  dai  principi  offerti  dalle  norme  pattizie  che
offrono degli strumenti mediati per l'applicazione e la verifica  del
parametro costituzionale violato.
   Il Tribunale,  nella  persona  dell'odierno  Giudicante,  ritiene
sussistenti  i  presupposti  per  sollevare  d'ufficio  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, limitatamente  al  comma  61
riferita alla legge 26 febbraio 2011, n. 10 - Gazzetta  Ufficiale  n.
47 del  26  febbraio  2011,  supplemento  ordinario  n.  53,  che  ha
convertito  il  decreto-legge  29  dicembre  2010,   n.   255   (c.d.
Milleproroghe),  in  quanto  unica  disposizione   applicabile   alla
fattispecie in esame.
   Rimessione   della    questione    pregiudiziale    alla    Corte
costituzionale.
   Sulla non manifesta infondatezza della questione -  questioni  di
diritto: nel presente giudizio civile  la  questione  preliminare  di
legittimita' costituzionale dell'impugnata norma e' rilevante  e  non
manifestamente infondata  in  quanto  dalla  decisione  della  stessa
dipende il contenuto della pronuncia  che  questo  Giudicante  si  e'
riservato di prendere sulle richieste della difesa delle parti e piu'
in generale sull'istruzione della causa.
   Questo Giudicante ritiene  che,  allo  stato,  si  debba,  previa
sospensione  dell'odierno  procedimento,   rimettere   la   questione
preliminare e pregiudiziale in ordine alla legittimita' o meno  della
norma dell'art. 2, comma 61, legge 26 febbraio 2011, n. 10 - Gazzetta
Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2011, supplemento  ordinario  n.  53,
che ha convertito il decreto-legge 29 dicembre  2010,  n.  255  (c.d.
Milleproroghe),  anche  alla   stregua   del   recente   orientamento
giurisprudenziale della Suprema corte di cassazione a  sezioni  unite
con la sentenza n. 24418/2010 ed in relazione ai principi  di  ordine
sistematico che informano il nostro ordinamento giuridico, in materia
di fonti del diritto.
   Il testo della  norma  surrichiamata,  per  il  quale  si  chiede
l'intervento della curia regolatrice delle leggi, cosi'  recita:  «In
ordine alle operazioni bancarie regolate  in  conto  corrente  l'art.
2935 del codice civile si interpreta nel senso  che  la  prescrizione
relativa ai diritti  nascenti  dall'annotazione  in  conto  inizia  a
decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si  fa
luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di  entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge» (per
facilita' di comprensione e reperimento vedansi art. 2, comma 61  del
testo del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, coordinato  con  le
modifiche apportate con la legge di conversione 26 febbraio 2011,  n.
10, secondo il testo redatto dal Ministero della giustizia  ai  sensi
degli articoli 10, comma 2  e  3  e  11,  comma  1  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n.  1092,  testo  unico
delle  disposizioni  sulla  promulgazione   delle   leggi   e   sulle
pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana).
   Pertanto,  punto  di  partenza   del   diritto   di   ripetizione
dell'indebito  e'  l'individuazione  del  momento   in   cui,   nelle
operazioni regolate  in  conto  corrente  bancario,  si  verifica  il
pagamento, ovvero vengono pagati indebiti interessi  anatocistici  ed
ultralegali, indebite commissioni di  massimo  scoperto  trimestrale,
indebite valute fittizie e spese forfettarie. A questa domanda  hanno
risposto le sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza  2
dicembre  2010,  n.  24418,  la  quale  ha  sancito:  «Se,  dopo   la
conclusione di un contratto di apertura di credito bancario  regolato
in conto corrente,  il  correntista  agisce  per  far  dichiarare  la
nullita' della clausola che prevede la  corresponsione  di  interessi
anatocistici e per la ripetizione di quanto  pagato  indebitamente  a
questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui  tale  azione
di ripetizione e' soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal
correntista in pendenza del  rapporto  abbiano  avuto  solo  funzione
ripristinatoria della provvista, dalla data in cui e'  stato  estinto
il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non  dovuti  sono
stati registrati».
   Pertanto   le    S.U.    hanno    ineccepibilmente    individuato
nell'estinzione del saldo di chiusura il momento in cui  si  verifica
il  pagamento  dell'indebito  e  dal  quale  nasce  il   diritto   di
ripetizione e, dunque,  il  momento  dal  quale  decorre  il  termine
prescrizionale, cosi' come previsto dall'art. 2935 del codice civile,
anche con l'interpretazione imposta  dall'art.  2,  comma  61,  della
legge 26 febbraio 2011, n. 10, per la ripetizione dell'indebito.
   Le  conclusioni  rassegnate  da  parte  attrice  sono  in  questa
direzione, quindi proprio con  riferimento  ai  recenti  orientamenti
giurisprudenziali, che ricollegano il «dies a quo» dalla chiusura del
conto. Presupposto, per la  decorrenza  del  termine  prescrizionale,
secondo le sezioni unite, quindi e' il pagamento e non l'annotazione,
ricollegandosi ad essa una  attivita'  meramente  materiale  precipua
della funzione degli istituti bancari.
   L'annotazione in conto di una siffatta  posta  comporta  solo  un
incremento del debito del correntista, o una riduzione dei crediti di
cui egli  ancora  dispone,  ma  in  nessun  modo  si  risolve  in  un
pagamento, nei termini sopra indicati:  perche'  non  vi  corrisponde
alcuna attivita' solutoria del correntista medesimo in  favore  della
banca.
   Per il resto, e' noto che l'estratto conto  e'  considerato  mero
documento contabile, da cui discende che le  operazioni  bancarie  in
esso riassunte e menzionate (prelevamenti e versamenti), a differenza
del conto corrente ordinario, non danno luogo  alla  costituzione  di
autonomi rapporti di credito o debito reciproci tra il cliente  e  la
banca, ma rappresentano l'esecuzione di  un  unico  negozio,  da  cui
deriva il credito o il debito del cliente verso la  banca.  Pertanto,
la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso  da
una banca al cliente rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti
solo sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto quello  della
validita' ed efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le  partite
inserite nel conto derivano. Infatti, le  contestazioni  non  possono
coinvolgere il titolo contrattuale dell'operazione, che  e'  regolata
dalle norme generali sui contratti,  ma  solo  la  conformita'  delle
singole concrete  operazioni  ai  patti  ed  alla  realta'  del  loro
andamento. Una contestazione dell'estratto del conto non e' specifica
ove riguardi la vincolativita' o  meno  del  patto  contrattuale  che
obbliga a corrispondere una certa misura degli interessi, dal momento
che per tale contestazione e' da ritenersi  necessaria  l'impugnativa
del contratto stesso. Dunque, la prescrizione dei  diritti  derivanti
dalla validita' ed efficacia dei rapporti obbligatori, dai  quali  le
partite inserite nel conto derivano, ha come punto di riferimento non
la mera appostazione contabile, ma il rapporto negoziale. L'azione di
ripetizione ha un necessario presupposto: la chiusura del conto. Solo
con la chiusura del conto si ha  un  pagamento:  prima  non  si  puo'
parlare di azione di ripetizione e non si puo' parlare di decorso  di
un  diritto  che  viene  a  concretizzarsi,  magari  dopo  trent'anni
all'appostazione sul conto. Vi e' piu' la circostanza, sostenuta, tra
l'altro da ampia giurisprudenza di  legittimita'  e  di  merito  (Vd.
Cass.  Civ.  2301/2004  e  1929/2010  -  Giurisprudenza  di   merito:
Tribunale di Brescia 29 marzo 2011; Corte di appello Ancona  3  marzo
2011; Tribunale di Taranto emessa dalla  dott.ssa  Enrica  Di  Tursi,
sentenza n. 445 del 3 marzo 2011, n. 445, e quella del  Tribunale  di
Palmi del 4 marzo 2011) ha sancito che il termine per la  ripetizione
dell'indebito decorre dalla chiusura del conto corrente  ed  essa  si
prescrive in dieci anni.
   Parte  attrice,  inoltre,  richiama  l'irrilevanza  della   norma
contenuta sul Milleproroghe, sotto il profilo della  irretroattivita'
di  una  norma  sostanziale  e,  comunque,  non  processuale  e   non
applicabile,  conseguentemente   a   fatti   e/o   situazioni   sorti
precedentemente come nel caso di specie  nella  controversia  che  ci
interessa.
   La norma dell'art. 2, comma 61 (decreto Milleproroghe) ha effetto
solo per l'avvenire, trattandosi di norma di natura dispositiva e non
interpretativa.
   Il disposto  invocato,  per  altro  verso,  ha  indubbia  portata
innovativa ma dispositiva, al di la' della presunta natura  meramente
interpretativa non retroattiva, ditalche', anche a voler disattendere
quanto appena detto, non potrebbe trovare  applicazione  la  medesima
norma in relazione alla presente  controversia,  trattandosi  si'  di
norma  sostanziale,  ma   che   non   puo'   di   certo   introdurre,
retroattivamente effetto estintivo del diritto azionato dall'attore.
   L'attore ha azionato la pretesa nei termini di legge, essendo  il
conto corrente n. 1403 acceso il 23 giugno 1988 ed estinto in data 10
giugno 2002 ed aver ritualmente notificato  l'atto  introduttivo  del
giudizio, interruttivo, tra l'altro della prescrizione,  il  7  marzo
2008.
   Infatti,  non  si  potrebbe  validamente  sostenere  che  si  sia
prescritto il  diritto  di  ripetere  un  versamento  effettuato  con
un'annotazione in conto risalente agli anni '88 e chiuso nell'ipotesi
nel 2002, quando solo in quell'anno si e' tecnicamente  concretizzato
il pagamento. Alla  data  dell'annotazione  si  prescrivono  solo  ed
esclusivamente i diritti derivanti dalla mera appostazione contabile,
ma non certo quelli derivanti dalle  nullita'  negoziali  originarie.
Consolidata giurisprudenza della  S.C.  ha  chiarito  come  non  vada
confuso il contratto costitutivo del relativo rapporto  obbligatorio,
regolato dagli articoli 1284 e 1283 codice  civile,  con  la  singola
annotazione in conto che, in se e per se', influisce solo  a  livello
quantitativo  sul  rapporto:  infatti,  l'approvazione  dell'estratto
conto rende incontestabili, solo ed esclusivamente, le  registrazioni
a debito e  credito  nella  loro  realta'  contabile,  ma  non  anche
l'efficacia e la validita' dei rapporti sostanziali.
   Sulla scorta  delle  suindicate  premesse  in  diritto  l'odierno
«Giudice a quo» indica  le  norme  costituzionali  violate,  tali  da
considerare la questione  non  manifestamente  infondata  e  tale  da
consentire  un  sindacato  di  legittimita'   della   Suprema   curia
regolatrice delle leggi.
   Violazione delle norme costituzionali.
   Le norme  violate  da  tale  disposizione  sono  gli  articoli  3
(principi di uguaglianza e di ragionevolezza), 24 e 102  (diritto  di
tutela  dei  propri  diritti  davanti  agli  organi   giurisdizionali
ordinari), 41 e 47 (principi di  liberta'  dell'iniziativa  economica
privata e di tutela del  risparmio)  della  Costituzione  ancora,  il
principio del giusto  processo,  cosi'  come  l'art.  117  Cost.,  in
materia di rispetto degli obblighi assunti sul piano  internazionale,
con la sottoscrizione della CEDU.
   Violazione dell'art.  3  Cost.  -  Violazione  del  principio  di
certezza del diritto e ragionevolezza della norma.
   La banca convenuta,  infatti,  in  comparsa  di  costituzione  ha
tempestivamente eccepito la prescrizione dell'azione di  restituzione
dell'indebito proposta dall'attore ai  sensi  dell'art.  2033  codice
civile, per cui se la nuova norma dovesse interpretarsi nel senso che
la prescrizione decennale decorre non dalla data  di  estinzione  del
rapporto di conto corrente (come di recente confermato da Cass.  Civ.
S.U. n. 24418/10) ma dal giorno di ogni singola annotazione in  conto
(art. 2-quinquies, comma 9 prima parte  della  impugnata  legge),  la
conseguenza  sarebbe  l'estinzione  per  prescrizione   del   diritto
dell'attore  alla  restituzione  degli  importi  versati   a   titolo
solutorio e annotati in data anteriore al 10 marzo 1998, vale a  dire
annotati oltre dieci anni prima della  data  di  notificazione  della
richiesta giudiziale di restituzione dell'indebito,  che  rappresenta
il primo degli atti interruttivi  della  prescrizione  risultante  in
atti.
   Inoltre, se la seconda parte della norma impugnata (...  In  ogni
caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia'  versati  alla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto-legge») dovesse interpretarsi nel senso che nelle  operazioni
bancarie regolate in conto corrente ciascuna  delle  parti  (...  nel
caso la banca) puo' non restituire gli importi gia' versati alla data
del 27 febbraio 2011, anche se non dovuti, la conseguenza sarebbe  il
rigetto totale della domanda di restituzione dell'attore, in  quanto,
il  rapporto   bancario   in   conto   corrente   e'   stato   chiuso
consensualmente dalle parti  in  data  10  giugno  2002,  per  cui  i
versamenti sono tutti antecedenti alla  data  di  entrata  in  vigore
della legge 26 febbraio 2011, n. 10.
   Infatti, se non fosse intervenuta la  disposizione  dell'art.  2,
comma 61, legge 26  febbraio  2011,  n.  10,  contenuta  nel  decreto
Milleproroghe, per cui oggi si chiede un intervento  non  solo  sulla
questione di legittimita' della medesima norma  censurata,  ma  anche
interpretativo della curia  regolatrice  delle  leggi,  condividendo,
peraltro, questo Giudicante i principi di diritto sanciti dalla Corte
di cassazione con la recente sentenza a sezioni unite n.  24418/2010,
antecedente alla disposizione surrichiamata, non si  sarebbe  violato
il principio supremo  della  certezza  del  diritto  che,  nella  sua
funzione nomofilattica, viene  demandato,  per  legge,  alla  Suprema
corte di cassazione  e  volta  a  «garantire  l'esatta  osservanza  e
l'uniforme  interpretazione  della  legge,   l'unita'   del   diritto
oggettivo nazionale» secondo la previsione dell'art. 65  della  legge
sull'ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12).
   Come  e'  noto,   il   legislatore   puo'   adottare   norme   di
interpretazione autentica non  soltanto  in  presenza  di  incertezze
sull'applicazione   di    una    disposizione    o    di    contrasti
giurisprudenziali, ma anche «quando la  scelta  imposta  dalla  legge
rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario,  con
cio' vincolando un  significato  ascrivibile  alla  norma  anteriore»
(sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex  plurimis,  sentenze
n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n.
170 del 2008, n. 24 del 2009).
   Esaminando le  norme  interpretative,  che  il  legislatore  puo'
validamente adottare, esse non  possono  violare  i  limiti  generali
all'efficacia retroattiva delle leggi, che  sono  il  presidio  e  la
difesa dei diritti, oltre che dei principi costituzionali, e di altri
fondamentali valori di civilta' giuridica posti  proprio  a  rispetto
dei destinatari della norma e  dello  stesso  ordinamento  giuridico,
tenuto conto anche dei principi di  derivazione  sovranazionale.  Tra
codesti  principi  emerge  il  rispetto  del  principio  generale  di
ragionevolezza, il principio del divieto di introdurre ingiustificate
disparita' di trattamento, il principio della tutela dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti per l'effetto  nomofilattico  delle
pronunce della  Corte  di  cassazione,  la  coerenza  e  la  certezza
dell'ordinamento giuridico, il rispetto  e  la  non  invasione  delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
   Pertanto il legislatore per adottare,  secondo  gli  insegnamenti
della medesima curia regolatrice delle leggi, o prevedere  una  norma
autentica e quindi con valore interpretativo deve esistere nel nostro
ordinamento giuridico una incertezza di diritto o comunque  un  forte
contrasto giurisprudenziale, che nel caso di specie non esiste.
   Inoltre,  proprio,  passando  al  merito   della   questione   di
legittimita' costituzionale, l'art. 3 della Costituzione  e'  violato
in   quanto   l'impugnato   provvedimento   contraddittoriamente   ed
irragionevolmente riserva un ingiustificato trattamento di favore per
le  banche  e  gli  altri  enti  creditizi,  sulla   scorta   di   un
orientamento,  peraltro  minoritario,  giurisprudenziale,  che  aveva
varato una interpretazione favorevole alla norma dell'art.  2935  del
codice civile, ma  comunque  disattesa  dalla  recente  sentenza  del
Supremo collegio con la sentenza n. 24418/2010 a sezioni  unite,  che
ha sancito un vero e proprio principio di diritto,  ove  il  «dies  a
quo» della prescrizione era stato indicato nella chiusura del conto e
non  dalla   annotazione,   considerato   tale   solo   un   elemento
giustificativo contabile.
   Verrebbe, di fatto, cioe', cancellato, per  atto  dell'esecutivo,
un granitico principio di diritto  consolidato  in  una  massima  del
Supremo collegio che chiarisce in maniera inequivoca il «dies a  quo»
per la decorrenza del termine della prescrizione, sanando,  peraltro,
irragionevolmente e retroattivamente il progresso, senza  distinzione
alcuna in base al tempo di stipula del contratto,  al  contenuto  del
contratto, tra vizi genetici e vizi funzionali del rapporto di  conto
corrente, tra rapporti esauriti, rapporti in corso  di  esecuzione  e
rapporti per i quali pende giudizio, tra  interessi  corrispettivi  e
interessi moratori.
   Nello specifico, l'impugnata norma, operando sui principi sanciti
dalla norma dell'art. 2935 del codice  civile,  introduce  anche  una
sanatoria  di  ben  definiti  ed  individuabili  rapporti  di   conto
corrente,  preesistenti   rispetto   all'introduzione   della   norma
dell'art. 2, comma 61, che, di fatto, deroga al  principio  generale,
sebbene non di rango  costituzionale,  della  irretroattivita'  delle
norma  di  diritto   sostanziale,   cosi'   violando   il   principio
costituzionale di uguaglianza.
   L'impugnata disposizione, peraltro, restringe  irragionevolmente,
andando ben oltre le finalita'  del  provvedimento,  anche  il  campo
d'applicazione della norma dell'art. 2935 codice  civile,  derogando,
eccezionalmente, a quest'ultima norma in termini  di  decorrenza  del
termine  e  costituendo,  in  tal  guisa,  anche  una  ingiustificata
disparita' di trattamento rispetto agli  altri  titolari  di  crediti
pecuniari  derivanti  dalle  ripetizioni   di   somme   indebitamente
corrisposte.
   Ne' la sostanziale retroattivita' si spiega  per  la  particolare
natura della norma, sicuramente innovativa e solo apparentemente  «di
interpretazione autentica».  Invero,  un'interpretazione  proveniente
dal legislatore si rende necessaria solo quando  si  determinano  tra
gli operatori del diritto contrasti in ordine al significato  di  una
legge o alle sue conseguenze giuridiche, cosa  non  verificatasi  per
l'art.  2935  del  codice  civile.  Anzi,  la  soluzione  legislativa
contrasta apertamente con  l'interpretazione  unanimemente  data  dai
Tribunali e dalle Corti della Repubblica, oltre alla recente sentenza
a sezioni unite del Supremo collegio n. 24418/2010.
   La norma censurata, pertanto, anche in riferimento a  quella  che
deve   essere   una    funzione    del    Giudice    remittente    di
interpretazione costituzionalmente  orientata  delle   questioni   da
sottoporre al vaglio della curia regolatrice delle leggi  (cf.  Corte
costituzionale ordinanze n. 191 del  2009,  nn.  441,  440,  205  del
2008),  deve  essere  considerata,  sotto  ogni  profilo,  di  natura
dispositiva e quindi qualificarla come una norma  che  disciplina  le
situazioni giuridiche successive all'entrata in  vigore  della  legge
medesima, e  non  autentica  e  di  natura  interpretativa,  con  una
efficacia retroattiva.
   Violazione dell'art. 24 Cost.
   Le norme sulla prescrizione,  come  la  norma  in  esame  di  cui
all'art. 2935 del codice civile, pur avendo una  natura  sostanziale,
producono i loro effetti sul piano processuale, atteso che  invocando
l'effetto estintivo delle stesse e' possibile impedire ai titolari di
diritti di ottenerne la realizzazione in via giudiziaria. Ne consegue
che, ove l'impugnata norma si applicasse anche per il  passato  e  ai
giudizi in corso, si avrebbe non solo una violazione del principio di
uguaglianza e un'ingiustificata disparita' di trattamento,  ma  anche
una limitazione dell'art. 24 della  Costituzione,  sotto  il  profilo
della  violazione  dei  diritti  di   tutela   primari,   oltre   che
un'invasione   ingiustificata   delle   prerogative   proprie   della
magistratura   ordinaria   con   violazione   dell'art.   102   della
Costituzione.
   Violazione degli articoli 41 e 47 Cost.
   L'impugnata norma realizza una patente violazione dei principi di
tutela del risparmio delle famiglie e delle  imprese,  sancito  dalla
nostra Carta costituzionale, violandone, in tal guisa,  gli  articoli
41 e 47.
   La norma di cui si chiede l'intervento  della  curia  regolatrice
delle  leggi,  riportata  in  una  piu'  ampia  ed  articolata  legge
denominata «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e
di interventi urgenti  in  materia  tributaria  e  di  sostegno  alle
imprese e alle famiglie», nella realta' eluderebbe lo spirito  stesso
della norma e la portata precettiva dell'intero  «corpus  normativo»,
poiche' piu' che supportare ed aiutare le famiglie e  le  imprese  in
grave stato di solvibilita' ed economico, tenuto  conto  anche  della
crisi contingentata economica attuale, porterebbe a colpire non  solo
i diritti ma le legittime  aspettative  di  essi,  destinatari  della
legge,  di  percepire  somme   indebitamente   contabilizzate   dalla
controparte durante lo svolgimento di rapporti in  conto  correnti  e
percepite in violazione di norme di ordine pubblico quale il  divieto
dell'anatocismo (art. 1283 del codice civile)  e  del  decorso  della
prescrizione (art. 2935 del codice  civile)  dal  giorno  in  cui  il
diritto puo' essere fatto valere, prestando il fianco a comportamenti
potenzialmente destinati ad essere illegittimi e fraudolenti.
   La norma, di iniziativa  governativa  ed  inserita  con  un  maxi
emendamento nel testo di un ennesimo decreto-legge c.d. Milleproroghe
a pochi giorni dalla scadenza dello stesso, rischia  di  pregiudicare
irrimediabilmente anche il diritto (n.d.r. potenziale)  delle  banche
ad ottenere in restituzione somme date  a  mutuo  ai  correntisti  in
regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate prima di
dieci anni dalla formale richiesta di  rientro  o  di  pagamento  del
saldo finale di chiusura del conto.
   Le considerazioni sopra  sviluppate  valgono  a  maggior  ragione
riguardo alla seconda parte  dell'impugnata  norma,  vale  a  dire  a
quella sorta di norma transitoria la quale dispone che «...  In  ogni
caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia'  versati  alla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto-legge». La suindicata norma risulta violativa di ogni diritto
costituzionalmente garantito (articoli 24, 41, 47), la  quale,  senza
null'altro aggiungere e  precisare,  determina  che  chi  (anche  una
banca) per sua sventura si trovi ad aver versato  alla  data  del  27
febbraio 2011 (data di entrata in vigore della legge  di  conversione
n. 10/2011) degli importi a credito in un rapporto regolato in  conto
corrente non puo' ottenerli «in ogni caso» in  restituzione  dal  suo
debitore.
   Violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata e resa  esecutiva
con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
   La suindicata norma internazionale, che sancisce il diritto ad un
giusto processo dinanzi ad un Tribunale indipendente  ed  imparziale,
impone al legislatore di uno Stato  contraente,  nell'interpretazione
della Corte europea dei  diritti  dell'uomo  di  Strasburgo,  di  non
interferire   nell'amministrazione   della   giustizia   allo   scopo
d'influire sulla singola causa o su di una determinata  categoria  di
controversie, attraverso  norme  interpretative  che  assegnino  alla
disposizione interpretata un significato vantaggioso  per  una  parte
del procedimento, salvo il caso di  «ragioni  imperative  d'interesse
generale».
   Il legislatore ha adottato una norma interpretativa, in  presenza
di differenti  contenziosi  sul  nostro  territorio,  ma  soprattutto
successivamente alla pronuncia della Corte di  cassazione  a  sezioni
unite (n. 24418/2010), nettamente sfavorevole alle banche, ma che  ha
cristallizzato un principio chiaro e supremo  affermando,  attraverso
simil massima,conseguentemente sia quella certezza di diritto sia del
principio del giusto procedimento. Dalla lettura di tale disposizione
normativa, oggi censurata, non e', invece, nella sua  «ratio  legis»,
dato rinvenire alcun tipo di evidente logica  che  fosse  sussumibile
nelle «ragioni imperative d'interesse  generale»  che  permettano  di
escludere la violazione del divieto d'ingerenza.  L'art.  117,  primo
comma,   Cost.,   ed   in   particolare    l'espressione    «obblighi
internazionali»  in  esso  contenuta,   si   riferisce   alle   norme
internazionali convenzionali  anche  diverse  da  quelle  contemplate
dagli articoli 10 e 11 Cost. Siffata problematica e' stata oggetto di
espresse pronunce della Corte costituzionale (sentenza nn. 348 e  349
del 2007).
   L'art. 117, primo comma, Cost., e' stato nuovamente riletto ed ha
consentito  di   rinvenire   un   fondamento   costituzionale   anche
all'osservanza degli obblighi internazionali. Ne e' derivato  che  il
contrasto di una norma nazionale  con  una  norma  convenzionale,  in
particolare della CEDU, e' idoneo  a  dar  luogo  ad  una  violazione
(mediata) dell'art. 117, primo comma, Cost.
   D'altra parte anche la  Suprema  corte  di  cassazione  (cfr  ...
sentenza Cass.  Civ.  Sez.  U.  n.  28507-28508/2005),  sotto  questo
profilo, riconoscerebbe  l'immediata  precettivita',  ai  fini  della
decisione  e  soluzione  della   controversia,   delle   disposizioni
convenzionali stabilite dalla CEDU, conferendo, in sintesi, una  piu'
rilevante  effettivita'  e  riconoscimento  ai  diritti  fondamentali
sviluppati nell'ambito  dello  spazio  giuridico  Europeo.  La  nuova
norma, allora, dell'art. 117 Cost. prevede, nella sua riformulazione,
che la legislazione statale e  regionale  sono  tenute  ad  osservare
oltre  alla  normativa  comunitaria,  nella  formazione  degli   atti
legislativi di propria competenza, anche i  vincoli  derivanti  dagli
obblighi internazionali.
   Ne consegue che il Giudice comune ordinario deve interpretare  la
norma interna in modo conforme alla  disposizione  internazionale  ed
entro i limiti nei quali sia permesso dai testi delle norme,  ma  non
e'  allo  stesso  consentito  disapplicare  una  norma  interna   con
prevalenza del diritto convenzionale, come invece e' previsto in caso
di contrasto con una norma comunitaria. In casi similari  al  Giudice
ordinario e' solo consentito, proprio in virtu' della  riformulazione
del testo dell'art. 117 Cost., sollevare la  questione  di  contrasto
della norma interna  rispetto  a  quest'ultima,  dinanzi  alla  Corte
costituzionale, ai fini della valutazione della sua legittimita'.
   Pertanto attraverso una procedura standardizzata  di  rinvio  del
diritto interno alle  norme  di  rango  superiore  ossia  alle  norme
internazionale giuridicamente pertinenti e rilevanti,  attraverso  la
norma surrichiamata dell'art. 117 Cost., e' consentito al Giudice  «a
quo» interno di un paese della Comunita' europea nel caso in  cui  si
profili un  contrasto  tra  una  norma  interna  e  una  norma  della
Convenzione europea, procedere ad  una  interpretazione  della  prima
conforme a quella convenzionale. Ovviamente, la norma della CEDU  non
prevarra' nella sola ipotesi in cui la  stessa,  nell'interpretazione
data dalla Corte europea, si ponga in conflitto con altre norme della
nostra Costituzione. Quando ricorra tale ipotesi,  pure  eccezionale,
si deve escludere l'operativita' del rinvio alla norma internazionale
e, dunque, la sua idoneita' ad integrare il parametro dell'art.  117,
primo comma, Cost.; e, non potendosi evidentemente incidere sulla sua
legittimita', comporta - allo stato - l'illegittimita', per quanto di
ragione, della legge di adattamento (principio sancito dalle pronunce
delle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007). Soltanto quando ritiene che
non sia possibile comporre il contrasto in via  interpretativa,  come
nel caso di specie, il Giudice comune - il quale non  puo'  procedere
all'applicazione della norma della CEDU (allo stato, a differenza  di
quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo  di  quella
interna contrastante, tanto  meno  fare  applicazione  di  una  norma
interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con  la  CEDU,  e
pertanto con  la  Costituzione  -  deve  sollevare  la  questione  di
costituzionalita' (anche sentenza Corte  costituzionale  n.  239  del
2009), con riferimento  al  parametro  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., ovvero anche dell'art. 10, primo comma, Cost., ove  si  tratti
di una norma convenzionale  ricognitiva  di  una  norma  del  diritto
internazionale generalmente riconosciuta.
   In questo specifico caso, anche in virtu' del  carattere  univoco
della  disposizione  censurata,  non   si   ritiene   sia   possibile
un'interpretazione  della  stessa  conforme  a  quella  convenzionale
internazionale (art. 6 CEDU).
   Il principio dello Stato di diritto e la nozione di processo equo
sancito  dati'  art.  6  della  CEDU   vietano   l'interferenza   del
legislatore  nell'amministrazione   della   giustizia   destinata   a
influenzare l'esito  della  controversia,  fatta  eccezione  che  per
motivi imperativi di interesse generale («imperieux motifs  d'interet
general» si cita SCM Scanner de l'Ouest ed autres c. France, sentenza
del 21 giugno 2007, ric. n. 12106/03) .
   Infatti secondo gli  insegnamenti  della  statuizione  giudiziale
surrichiamata per esservi contrasto  con  l'art.  117,  primo  comma,
Cost. e, per suo tramite, con l'art. 6, par. 1, CEDU, si ritiene  che
la  norma  censurata  violi  il  divieto  di  ingerenza  del   potere
legislativo  nell'amministrazione  della   giustizia   «non   essendo
necessario, alla luce della giurisprudenza  della  Corte  europea  di
Strasburgo  che  la  disposizione  retroattiva  sia   "esclusivamente
diretta ad influire sulla soluzione delle controversie in corso", ne'
che  tale  scopo  sia  stato  comunque  enunciato,  essendo,  invece,
sufficiente a ritenere  fondato  il  conflitto  con  l'art.  6  della
Convenzione  europea  che   nel   procedimento   sia   applicata   la
disposizione denunciata e lo stesso Stato sia parte  nel  giudizio  e
consegua, dall'applicazione della norma come interpretata autentica».
   In tal  senso  si  e'  pronunciata  anche  la  Suprema  corte  di
cassazione con ordinanza interlocutoria  n.  22260  del  4  settembre
2008.
   Orbene la curia regolatrice delle leggi (cf. sentenza n. 234  del
2007) ha sancito che «ad una norma puo' essere demandata funzione  di
natura interpretativa e quindi autentica, non  potendosi  considerare
essa   disposizione   lesiva   dei   principi    costituzionali    di
ragionevolezza, di tutela del legittimo  affidamento  e  di  certezza
delle situazioni giuridiche, giacche' essa  si  limita  ad  assegnare
alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come  una
delle possibili letture del testo originario, in  assenza,  peraltro,
di un diritto vivente».
   Nel caso di specie il diritto vivente e'  stato  sancito  con  la
sentenza delle  sezioni  unite  del  Supremo  collegio  (sentenza  n.
2448/2010), in funzione nomofilattica ed ai sensi dell'art. 65  della
legge sull'ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n.
12) che demanda alla medesima curia giudiziaria «l'esatta  osservanza
e  l'uniforme  interpretazione  della  legge,  l'unita'  del  diritto
oggettivo nazionale», eliminando  qualsiasi  equivoco  interpretativo
anche  rispetto  alle  posizioni  della  giurisprudenza   minoritaria
antecedente.
   Oltretutto  con  la  disposizione  censurata,  riconoscendole  un
valore autentico  interpretativo  e  retroattivo  rispetto  alla  sua
funzione dispositiva, comporterebbe anche una  «reformatio  in  malam
partem» sotto il profilo della disparita' patrimoniale  ed  economica
rispetto ad altri titolari di crediti pecuniari.
   Ed ancora ... in virtu' del suddetto orientamento  (che  trova  i
suoi  precedenti  nei  casi  Raffineries  Grecques  Stran  e  Stratis
Andreadis c. Grecia del 9 dicembre  1994,  e  Zielinski  e  altri  c.
Francia, del 28 ottobre 1999) deve considerarsi violativa dell'art. 6
CEDU,  la  prassi  di  interventi   legislativi   sopravvenuti,   che
modifichino  retroattivamente,   in   senso   sfavorevole   per   gli
interessati, le disposizioni di legge attributive di diritti, la  cui
lesione abbia  dato  luogo  ad  azioni  giudiziarie  ancora  pendenti
all'epoca della modifica.
   Infine si richiama, ad ulteriore conferma della violazione  della
disposizione censurata  rispetto  ai  parametri  costituzionali,  con
riferimento all'art. 6, par. 1 CEDU, la recentissima  sentenza  della
seconda sezione della Corte di Strasburgo sul caso «Agrati + altri c.
Italia», del 7 giugno del 2011.
   La massima soprarichiamata ha sancito  un  principio  secondo  il
quale l'intervento legislativo dello Stato italiano (in  un  caso  di
diritto del lavoro) non fosse giustificato da ragioni  imperative  di
interesse pubblico, cosi' da violare l'art. 6 della  Convenzione,  in
ogni caso, con  tale  statuizione  si  e'  sancito  che  l'intervento
normativo disposto  dal  legislatore  nel  regolamentare  in  maniera
definitiva  le  controversie,  si  sostanziasse  in   una   ingerenza

nell'esercizio del diritto di proprieta', cosi' da violare  l'art.  1
del protocollo n. 1, per aver imposto un «onere eccessivo e anormale»
ai ricorrenti, in tal modo  rendendo  sproporzionato  il  pregiudizio
alla loro proprieta' e rompendo il giusto equilibrio tra le  esigenze
di  interesse  pubblico  e  la  tutela   dei   diritti   fondamentali
individuali.
   La seconda  sezione  della  Corte  di  Strasburgo,  nell'assumere
siffatta decisione, ha invero ribadito le  linee  fondamentali  della
propria giurisprudenza - cui, del resto, entrambe le Corti  nazionali
di ultima istanza avevano fatto necessario riferimento -  ricordando,
in primo luogo, che: «se, in linea di principio, il legislatore  puo'
regolamentare  in  materia  civile,   mediante   nuove   disposizioni
retroattive, i diritti derivanti da leggi gia' vigenti, il  principio
della preminenza del diritto e la nozione di  equo  processo  sancito
dall'art. 6 ostano, salvo che per  ragioni  imperative  di  interesse
generale, all'ingerenza del  legislatore  nell'amministrazione  della
giustizia  allo  scopo  di  influenzare   la   risoluzione   di   una
controversia (sentenza Raffinerie greche Stran e  Stratis  Andreadis,
cit., § 49, serie A n. 301-B; Zielinski e Pradal & Gonzales  e  altri
cit., § 57). (...)  L'esigenza  della  parita'  delle  armi  comporta
l'obbligo di offrire ad ogni parte una  ragionevole  possibilita'  di
presentare  il  suo  caso,  in  condizioni  che  non  comportino   un
sostanziale  svantaggio   rispetto   alla   controparte   (vedi,   in
particolare, causa Dombo Beheer BV c. Paesi Bassi,  dal  27  ottobre,
1993, 33, Serie A, No. 274, e  Raffinerie  greche  Strati  e  Stratis
Andreadis, 46).
   La Corte EDU ha,  inoltre,  precisato  che,  secondo  la  propria
giurisprudenza, «un ricorrente puo' addurre la violazione dell'art. 1
del protocollo n. 1  solo  nella  misura  in  cui  le  decisioni  che
contesta sono relative alla sua "proprieta'" ai sensi della  presente
disposizione. La nozione di "proprieta'" puo' concernere sia i  "beni
esistenti" che i valori patrimoniali, ivi  compresi,  in  determinati
casi ben definiti, i crediti. Affinche' un credito possa considerarsi
un  "valore  patrimoniale",  ricadente  nell'ambito  di  applicazione
dell'art. 1 del protocollo n. 1, e' necessario che  il  titolare  del
credito lo dimostri in relazione al  diritto  interno,  per  esempio,
sulla base di una consolidata giurisprudenza dei tribunali nazionali.
Una volta dimostrato, puo' entrare in gioco il concetto di "legittimo
affidamento"» (Maurice c. Francia  [GC],  n.  11810/03,  §  63,  CEDU
2005-IX).
   Ed, infine, puntualizzato che, grazie ad una  conoscenza  diretta
della societa' e dei suoi bisogni, «le autorita'  nazionali  sono  in
via di principio  in  una  posizione  migliore  rispetto  al  giudice
internazionale per determinare  cio'  che  rientra  nel  concetto  di
"pubblica  utilita'"».  Nel  sistema  di   tutela   istituito   dalla
Convenzione, le autorita' nazionali devono quindi decidere per  prime
se esiste un interesse generale che giustifica  la  privazione  della
proprieta'. Di conseguenza, esse dispongono di un  certo  margine  di
apprezzamento. La decisione di adottare una legislazione  restrittiva
della proprieta' di solito comporta valutazioni di  ordine  politico,
economico e sociale. Considerando normale che il legislatore disponga
di un'ampia liberta' di condurre una politica economica e sociale, la
Corte deve rispettare il modo in cui egli concepisce  gli  imperativi
di «pubblica utilita'» a meno che la sua decisione sia manifestamente
priva di ragionevole fondamento (Presse Compania Naviera SA  e  altri
c. Belgio, 20 novembre 1995, § 37, Serie A, n. 332, e  Broniowski  c.
Polonia [GC], n. 31443/96, § 149, CEDU 2004-V). In linea generale, il
solo interesse economico non giustifica  l'intervento  di  una  legge
retroattiva di convalida di misure  restrittive  della  proprieta'  e
quindi di valori patrimoniali quali i diritti di  credito,  come  nel
caso di specie riferito al procedimento sospeso.
   Questa prassi, pertanto, puo' essere suscettibile  di  comportare
una violazione patente, sulla  scorta  del  paradigma  costituzionale
offerto dall'art.  117,  dell'art.  6  della  CEDU,  risolvendosi  in
un'indebita ingerenza  del  potere  legislativo  sull'amministrazione
della giustizia, anche per  il  mero  fatto  che  non  vi  e'  alcuna
giustificazione  di  rinvio  a  «motivi   imperativi   di   interesse
generale», tra  l'altro  nemmeno  elencati  nelle  norme  oggetto  di
richiesta di pronuncia di costituzionalita'.
   La  medesima  curia  regolatrice  delle  leggi  (cfr  ...   Corte
costituzionale sentenza nn. 392 e 393 del 2007) ha  ribadito  che  un
evidente contrasto tra i precetti sanciti da una norma interna e  una
norma  convenzionale  e   quindi   degli   obblighi   internazionali,
menzionati dall'art. 117 Cost., configura una  grave  violazione  dei
parametri costituzionali, operando,  in  tal  guisa,  una  automatica
remissione  della  questione  dinanzi   al   Giudice   delle   leggi.
Nell'ipotesi di devoluzione della questione alla Corte,  quest'ultima
dovra' verificare se le stesse norme CEDU, nell'interpretazione della
Corte di Strasburgo, garantiscono una tutela dei diritti fondamentali
equivalente a quella riferita ai principi  incardinati  nella  nostra
Carta  costituzionale,   rispettando   quel   giusto   equilibrio   e
bilanciamento degli interessi, ancorche' disciplinati da  convenzioni
internazionali.
                               
                              P.Q.M.


   Letti gli articoli 134 e 137 della Costituzione,  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87:
   1) il Tribunale ordinario di Velletri, nella persona del  Giudice
unico (GOT) dott. Maurizio  Colangelo  sospende  il  procedimento  in
corso;
   2) il Tribunale ordinario di Velletri, nella persona del  Giudice
unico (GOT) dott. Maurizio  Colangelo  promuove  di  ufficio,  per  i
motivi enucleati nella parte dispositiva della odierna  ordinanza  di
remissione  degli  atti  alla  ecc.ma   Corte   costituzionale,   per
violazione  degli  articoli  3,  24,  41,  47  e  102  e  117   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale della legge 26
febbraio  2011,  n.  10,  di  conversione   con   modificazioni   del
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, nella parte in  cui  all'art.
1, comma 1, richiamando l'allegato «Modificazioni apportate  in  sede
di  conversione  al  decreto-legge  29  dicembre  2010,  n.  225»  ha
introdotto   nell'ordinamento   giuridico    la    seguente    norma:
«Modificazioni apportate in sede di conversione al  decreto-legge  29
dicembre 2010, n. 225: all'art. 2 dopo il comma 19  sono  aggiunti  i
seguenti commi: ... (omissis) ... e' stato aggiunto il «comma 61  che
recita: "... In ordine alle operazioni  bancarie  regolate  in  conto
corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la
prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione  in  conto
inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In  ogni  caso
non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati  alla  data
di  entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del  presente
decreto-legge».
   Per  l'effetto  codesto  Giudicante  remittente  sottopone   alla
valutazione  della  Suprema  curia  regolatrice  delle   leggi   che,
accertata la fondatezza delle questioni sopra  narrate,  dichiari  la
illegittimita' costituzionale delle disposizioni di  legge  nel  solo
significato difforme  da  Costituzione  e,  conseguentemente,  emetta
statuizione principale di fondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale in ordine alle violazioni dei parametri costituzionali
operati dalla disposizione legislativa censurata e surrichiamata  nel
dispositivo,   e   conseguentemente   adotti   anche   una   sentenza
interpretativa  di  accoglimento  con  formulazione   di   principio,
dichiarando   la   irretroattivita'   della   disposizione,   oggetto
dell'ordinanza di remissione;
       3)  ordina  che,  a  cura  della  cancelleria,  la   presente
ordinanza sia notificata A) alle parti in causa; B) al Presidente del
Consiglio dei ministri;  C)  nonche'  comunicata  al  Presidente  del
Senato; D) Presidente della Camera dei  deputati;  E)  sia  trasmessa
alla Corte costituzionale insieme al fascicolo processuale e  con  la
prova delle avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni.
         Velletri, addi' 12 ottobre 2011
                        Il Giudice DI TRIBUNALE: Colangelo

 
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